Numerosi amici e colleghi mi hanno espressamente invitato ad esprimere un giudizio su quanto sta avvenendo in Italia a causa del coronavirus da un punto di vista clinico psicologico. Io mi limito attraverso questo articolo a portare alcuni elementi chiave, degli assiomi del lavoro quotidiano psicoterapeutico, nel nostro contesto attuale.
Punto primo: stiamo con la realtà che abbiamo! Nel nord Italia dobbiamo convivere con un qualcosa di assolutamente nuovo ed inaspettato che sta mettendo in crisi le nostre abitudini e alimentando paure e timori. E’ del tutto ovvio che preferiremmo non confrontarci con una patologia che potrebbe contagiare tutti e che su alcuni potrebbe avere delle ripercussioni serie, tuttavia, questo è il nostro presente e nel qui ed ora ci muoviamo. Ed ecco il secondo punto, cruciale, restare nell’ hinc et nunc , nel momento presente a contatto con noi stessi, con i nostri pensieri e le emozioni e prendere atto di come noi siamo i responsabili dei primi e possiamo gestire le seconde. Ritornare, quindi, a contatto con noi stessi, con la nostra dimensione interiore e sentire, non capire, ma sentire ciò che è giusto. Ci avviciniamo a grandi passi al passo successivo ovvero mettere il campo il meglio di noi stessi avendo consapevolezza del contesto esterno e del vissuto interiore e di ciò che è Giusto fare per creare quell’armonia con la nostra coscienza alla base del Benessere. Il focus, io credo, sia proprio questo poiché i comportamenti osservabili mostrano una realtà nella quale emerge la parte peggiore dell’essere umano, quella dell’ego, della paura di essere attaccato, del panico di morire, di una chiusura che si può sintetizzare nel motto latino “ mors tua, vita mea”. Non si spiegherebbero altrimenti comportamenti legati all’accaparrarsi cibo ad oltranza, all’evitamento eccessivo di ogni possibile contatto e soprattutto la ricerca costante e cattiva di un capro espiatorio sul quale proiettare la colpa di ciò che stiamo vivendo.
Dal mio osservatorio percepisco e osservo un continuo lamentio, un verbalizzare esclusivamente aspetti negativi, un’incapacità ad empatizzare con il prossimo che invece sperimenta perfettamente la nostra prospettiva e una malignità che va cronicizzandosi.
Padroneggiare gli stati di coscienza, ecco il punto successivo sul quale lavorare: riconoscere di essere in stati di coscienza estremamente bassi attraverso i quali fuoriesce il nostro lato peggiore ed elevarsi a stadi più elevati. Il processo è di per sé assai facile, equiparabile a pigiare il pulsante di un’ascensore per salire di piano e osservare la realtà da un punto differente e prevede come elemento chiave e imprescindibile la consapevolezza di essere al livello terra. In circostanze complesse come quelle attuali l’unica risposta che abbiamo a disposizione è cogliere l’opportunità di evolvere e produrre comportamenti e pensieri di fiducia, altruistici, empatici, di aiuto e solidarietà, costruttivi.
La domanda che si pone è il come attuare tale trasformazione e la risposta si trova nei passaggi sopra esposti come il rimanere a contatto nel presente con i nostri pensieri ed emozioni e sulla volontà di dare un significato qualitativo alla nostra vita.
Per la mia esperienza pratiche di mindfulness o di meditazione possono incentivare quell’evoluzione positiva auspicata, così come la preghiera per i credenti, il restare in luoghi silenziosi a contatto con noi stessi, il dialogo profondo ed empatico, tutto ciò che ci porta a relazionarci con il profondo creando crepe nei muri della paura per far passare raggi di costruttiva fiducia.
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